domenica 11 settembre 2011

Schio, sabato 11-9-943

Stamattina corre ancora la voce che ci lasciano liberi, ma io ci spero poco. Difatti alle ore nove arrivano davanti alla caserma 40 corriere. Altro che libertà, ora ci caricheranno tutti e chissà dove ci porteranno.
Mi guardo intorno cercando la possibilità di tentare la fuga. La vigilanza è aumentata, però, dietro al gabinetto c’è un palo che arriva fino a metà delle mura, e aspettando che la sentinella guardi da un’altra parte, si potrebbe tentare il salto. Sto aspettando il momento opportuno per spiccare il salto, quando il mio tenente mi chiama dicendomi queste precise parole: ‘Rancan! Pigliati il materiale, che si parte subito. Fa presto, perché questa gente qui, sparano sai!’ Gli rispondo che se non avessi la famiglia preferirei farmi ammazzare piuttosto che farmi portar via; lui mi da del pazzo e mi consiglia di eseguire il suo ordine; così è svanito anche quest’ultimo tentativo.
Come un automa faccio quello che fanno gli altri; il mio pensiero è tutto rivolto alla mia casa, la mia Pupetta, la mia Anita, la mia mamma e papà. Vorrei almeno vederli, parlargli: piango pensando quanto tempo passerò lontano.
E la mia Anita, come vivrà senza mie notizie? Scrivo quattro cartoline, le do a un borghese, spero che qualcuna le giunga.
Si parte. Non dimenticherò mai la generosità e la fierezza delle donne di Schio: stavano tutte schierate lunghe le vie, buttavano quanto potevano dentro dai finestrini. Pane, frutta, pacchetti di marmellata; non una che non piangesse.
Usciamo da Schio sulla strada statale; passiamo per Malo, Isola Vicentina, Sovizzo, Tavernelle, Montebello. Qui l’amico Bruzzo Renato passa davanti alla sua casa, sporge un braccio dal finestrino. La mamma lo vede, esce, si mette le mani nei capelli e rientra, barcollando.
Avanti, arriviamo a Verona dove una mitragliatrice spara ancora; si prosegue verso Mantova.
Arriviamo a Mantova, per le sue vie la stessa scena di Schio, anche la donna mantovana si prodiga in tutti i modi, lacrimando.
Alle ore 17.30 arriviamo al campo di concentramento. Orribile scena! Ventimila uomini entro le mura, della sezione staccata di artiglieria. Bisogna cercare di trovare un po’ di terreno libero per poter passare la notte e ci riusciamo a stento! Con qualche telo e delle coperte facciamo una tenda da 8 e ci ficchiamo sotto in 15. La terra non è tanto dura, e per fortuna è asciutta, si può dormire. Abbiamo sete e fame; da parte tedesca nulla da sperare. Ci mettiamo d’accordo in sei e buttiamo tutte le nostre riserve in un mucchio. Escono 18 pagnotte, un po’ di marmellata e anche un po’ di burro. Per tre giorni si mangia. Ma l’acqua? Ci dicono che bisogna stare in colonna da mezzanotte a mezzogiorno per arrivare a prendere una borraccia, e me ne rendo conto durante la notte, che per andare al gabinetto, ho dovuto fare tutto il giro del campo per non poter attraversare la colonna che aspetta l’acqua.
Le guardie parlano ma noi non comprendiamo; allora ci fanno capire a suon di colpi di moschetto, e raffiche di mitraglia. Non passa un minuto senza un colpo o una raffica.

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