sabato 24 settembre 2011

16 ottobre 943 sabato

Dal giorno 2, e cioè dal giorno in cui ho cominciato a lavorare in fabbrica, non ho più fatto il diario. Lo strepitio infernale della mia macchina e il calore che regna sotto questo tetto mi ha rincretinito. Ora incomincio ad abituarmi, e provo a descrivere un pochino l’ambiente in cui mi trovo.
La bilancia automatica, della quale devo garantire il funzionamento, ha il compito di pesare e tener sommato il peso di tutte le bietole che arrivano dal saliscendi e vanno ai molini. Perciò è posta nel luogo più alto della fabbrica, subito sotto il tetto, tanto che io devo camminare curvo per non sbattere la testa nei travi. Sotto di me ci sono i molini che vanno sempre alternativamente. Inutile mettersi a descrivere tutte le macchine che sono in movimento, non avrei carta sufficiente: dico solo che sotto, sopra e intorno a me non ci sono che volani, cinghie di trasmissione, catene, ingranaggi, ecc... Lascio immaginare la musica indiavolata che arriva alle mie povere orecchie, prodotta da simili strumenti, aggiungendovi ancora l’infernale fracasso che fa la mia macchina quando si muove, e l’arrabbiato tremolio dei molini che ho sotto i piedi. Quanti gradi di calore faccia qui non so precisamente; so che qui a terra segna 40 gradi, ma quando scendo giù mi par di rivivere. Salendo la scala si sente aumentare il calore ad ogni gradino. Sono sempre a dorso nudo con le sole mutandine; quasi sempre fermo, eppure sudo continuamente. I primi giorni mi ero talmente indebolito che non riuscivo neanche più a pensare; ma ora comincio ad abituarmi e oltre a pensare riesco anche a scrivere. Sarà forse perché ho cominciato a mangiare qualche po’ di zucchero. A proposito del mangiare, mi pare di non aver ancora scritto su questi foglietti ciò che si mangiava al campo di concentramento, e quello che si mangia qui, e già che sono in argomento lo voglio fare.
Al campo ci davano al mattino un po’ d’acqua calda che aveva il colore e il sapore del decotto di sena, e con questa veniva mezzogiorno. Per pranzo ci davano 4 o 5 patate con un quarto di litro di minestra d’orzo, miglio e quaino e qualche carota. Si poteva berla benissimo. Alle 17.00 ci davano un pane da un chilo da dividere in 6 e mezzo chilo di margarina da dividersi in 25. Qualche volta si vedeva il salame e qualche altra la marmellata.
Qui invece siamo trattati come operai, a parte che si facciano 12 ore di lavoro continuate su 24. Alla sera ci chiudono in camera con chiavi e catenacci come fossimo dei condannati all’ergastolo. Si mangia discretamente, sottointeso che l’alimento primo è sempre la patata. Al mattino ci danno mezzo litro di surrogato di caffè; a mezzogiorno un litro di minestra di purè di patate, qualche giorno rape. Alla sera un mestolo di zuppa di cavoli o farina di segale con 7 o 8 patatine. Poi abbiamo un chilo e mezzo di pane alla settimana, 125 grammi di margarina e 100 grammi di marmellata. Si vive, la fame non si patisce. Poi abbiamo anche un marco e venti al giorno, col quale si può bere qualche birra. Insomma, se non avessi il terribile tormento del non poter scrivere, se potessi avere notizie della mia famiglia, sarei quasi felice, pur essendo prigioniero. Le giornate passano uguali tutte, così le settimane, senza sapere niente. Quando finirà?

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