mercoledì 14 settembre 2011

12-9-943 ore 7.00

Una raffica di mitragliatore mi ha svegliato. Penso subito che è domenica. Oggi otto a quest’ora ero vicino alla mia Pupetta, alla mia Anita, in quale stato saranno? Sapranno quello che è successo? O aspetteranno che arrivi a casa? Il cuore vuole uscire dal petto, sono costretto ad alzarmi in piedi; esco dalla tenda. Lo spettacolo che si para davanti ai miei occhi riesce a metter in movimento le lacrime: piango per una buona mezz’ora. Tra le lacrime vedo un formicolio di militari di tutte le armi, con le barbe lunghe, la faccia stravolta, chi seduto per terra, chi sul suo zaino, chi buttato a terra. Molti sotto tende di fortuna composte per lo più di carrette con le ruote all’aria. Davanti all’acqua una interminabile colonna di assetati, uno spettacolo impossibile a descriversi. Io non sento né sete né fame, ho solo voglia di piangere e continuo a piangere. Così passa la giornata.
Alle ore 17.00 ci viene ordinato di preparasi per partire, siamo circa duemila che abbiamo avuto quest’ordine. Dove si va? Un interprete ci dice che andiamo in un paese del mantovano, perché qui siamo troppo stretti. Formano la colonna e usciamo dal campo a piedi; cammina e cammina passiamo per la città. Sono le otto, le vie sono deserte, non si vede nessun borghese; solo una donna e un ragazzo coraggiosi stanno sulla porta di casa con un mestello d’acqua, sanno che abbiamo sete. Un mio compagno riesce a prendere una borraccia e a dire qualche parola al giovinotto, il quale ci consiglia di non scappare dicendo che hanno già messo fuori i manifesti che devono presentarsi tutti sotto pena di morte. Alle 8.30 arriviamo davanti alla stazione di Mantova, ci fanno posare gli zaini a terra e ci sediamo sopra. Altro che paesetto del mantovano! Ora ci caricheranno in treno e ci porteranno in Germania. Una signorina passa e raccoglie qualche lettera; scrivo poche parole in un pezzo di carta e glielo consegno. Ci dice che al Primiero resistono ancora, che c’è Badoglio con le divisioni alpine, ci mette ancora la speranza di non uscire d’Italia.
A mezzanotte ci caricano in treno, 50 uomini per ogni carro bestiame. Vengono sprangate le porte, le panche non ci sono: siamo come le sardine in scatola, si soffoca. Alle 2.00 il treno parte. Verso dove? Non si sa. Per un po’ di tempo resisto a stare in piedi, ma poi il sonno e la stanchezza mi vince, scivolo giù, come un sacco vuoto, e mi addormento. Quando mi sveglio dicono che abbiamo già oltrepassato Trento, ormai non c’è più nessun dubbio, ci portano in Germania.
Un’angoscia terribile mi invade l’anima, non riesco a piangere. Man mano che il treno cammina allontanandomi sempre più dalla mia casa, aumenta lo strazio. Non sto a descrivere tutto questo viaggio terribile, sarebbe troppo lungo. Dico solo che dopo 61 ore di viaggio con poco pane e meno acqua ci siamo trovati a Neubrandeburg, dove finalmente ci hanno fatto scendere.

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